Il diabete mellito è una malattia cronica per la quale il nostro organismo non riesce a regolare i livelli di zucchero (detto glucosio) nel sangue. Il termine “diabete” deriva dal greco “διαβαίνειν” che significa “passare attraverso” con riferimento all’emissione di abbondante urina provocata dalla malattia, mentre il termine “mellito” deriva dal latino “mellitus” che significa “contenente miele” ed è riferito al sapore dolce che le urine delle persone con diabete hanno quando contengono abbondanti quantità di zucchero. Proviamo a spiegarci meglio: il nostro organismo si comporta come il motore di una macchina. Ha bisogno di un “carburante” da bruciare per produrre l‘energia necessaria per vivere. Nella macchina il carburante è la benzina, nel nostro corpo è lo “ZUCCHERO” (“GLUCOSIO”). Noi introduciamo il carburante con il cibo, questo viene assorbito nell’intestino e giunge all’interno della circolazione del sangue, che funziona da “serbatoio”. Per poter essere “bruciato” e quindi produrre l’energia necessaria al nostro corpo, il glucosio dal sangue (serbatoio) deve entrare dentro ogni singola cellula del nostro organismo (carburatore). Questo passaggio, dal sangue alle cellule, non è libero, ma regolato da una specie di “porta di ingresso” (recettore per il glucosio – GLUT 4), che normalmente è chiusa, e necessita di una “chiave” appropriata. La chiave è un ormone prodotto dal pancreas, il cui nome è “INSULINA”. La produzione da parte del pancreas di questo “ormone – chiave” è automatica in risposta all’introduzione del cibo, e dipende dalla quantità di glucosio presente nel sangue: il pancreas “sente” quanto glucosio è presente e produce insulina di conseguenza, in modo che la chiave apra la porta e il glucosio possa essere bruciato all’interno delle cellule. Tutto ciò fa sì, che la quantità di glucosio presente nel sangue (GLICEMIA) sia sempre più o meno la stessa, compresa tra 65 e 140 mg/dl.

Cosa succede quando c’è il diabete?
Per motivi diversi, che analizzeremo in seguito, quando la produzione di insulina non è sufficiente (“manca la chiave”) o quando l’insulina prodotta non funziona (“la chiave non è quella giusta”) lo zucchero non riesce ad entrare nelle cellule del nostro corpo e si accumula nel sangue portando alla comparsa del diabete.

Il diabete indica generalmente tutte quelle situazioni in cui lo zucchero nel sangue è alto, ma non tutti i tipi di diabete sono uguali come cause. Innanzitutto dobbiamo distinguere tra due principali tipi di diabete: il tipo 1 e il tipo 2. Nel diabete di tipo 1, più frequente in età giovanile, il problema è la mancanza dell’insulina: un’infiammazione del pancreas progressivamente fa morire le cellule che la producono, fino a giungere alla carenza dell’ormone. In questo caso è necessario sostituirsi al pancreas, e somministrare l’insulina dall’esterno, cercando di “mimare” quello che farebbe l’organismo. La somministrazione dell’insulina più volte al giorno, in questi ragazzi (spesso bambini), è indispensabile per la sopravvivenza: senza insulina purtroppo andrebbero incontro a morte sicura. Nel diabete di tipo 2, invece, estremamente più frequente, che colpisce soprattutto le persone adulte ed anziane, l’insulina viene prodotta dal pancreas, seppure in quantità minori rispetto al normale, ma la “porta” delle cellule per fare entrare il glucosio non riesce ad aprirsi bene: è come se facesse “resistenza” alla chiave. Il risultato, alla fine, è lo stesso: il glucosio non riesce ad entrare bene dentro le cellule e resta in quantità maggiori nella circolazione sanguigna (IPERGLICEMIA). L’organismo cerca di liberarsi dall’eccesso di glucosio eliminandone una buona parte attraverso le urine (GLICOSURIA), insieme ad abbondante acqua per scioglierlo. Ecco quindi i principali sintomi dell’iperglicemia: abbondanti urinazioni e conseguente sete per ripristinare l’acqua perduta, insieme a stanchezza (mancanza del carburante) e dimagramento (per la perdita di calorie con le urine).
Vi sono poi altri tipi di diabete, meno frequenti e dovuti a difetti nel DNA (diabete genetico) che alterano la secrezione o l’azione dell’insulina, o indotti da farmaci (come ad esempio il cortisone o alcuni farmaci utilizzati per la cura dell’AIDS o dopo trapianti d’organo) o secondari a malattie del pancreas (pancreatite croniche, asportazione chirurgica del pancreas per altre malattie). Esiste inoltre un tipo di diabete che insorge durante la gravidanza e si risolve con il parto, che viene chiamato diabete gestazionale. Anche questo tipo di diabete, che è causato da difetti simili a quelli osservati nel diabete tipo 2, va diagnosticato precocemente e curato con attenzione per evitare complicanze per il bimbo o per la madre al momento del parto.

Il diabete mellito rappresenta un patologia in forte espansione con una prevalenza nel nostro Paese che si aggira intorno al 5-6% (circa 3,5 milioni di persone) e che tende ad aumentare con l’età per arrivare fino al 17-19% nelle persone con più di 70 anni. Nel mondo si ritiene che le persone affette da diabete siano oltre 284 milioni e questo numero è destinato ad aumentare a 438 milioni nel 2030. La frequenza del diabete sta crescendo in tutto il Mondo, ma nell’Africa sub-sahariana, nel Medio Oriente e nel Nord-Africa vi sono gli aumenti più rilevanti. In questi ultimi anni il diabete di tipo 2, che rappresenta la forma più frequente di questa malattia, sta insorgendo ad una età sempre più precoce causa abitudini alimentari scorrette, la sempre crescente sedentarietà, il numero sempre maggiore di persone in sovrappeso o obese e l’invecchiamento della popolazione. Oltre al diabete di tipo 2, anche il diabete di tipo 1 è in progressivo aumento soprattutto nelle età più giovanile ed anche questo sembra riconoscere cause legate ad uno stile di vita non corretto

A differenza del diabete tipo 1 che si presenta al momento della sua insorgenza con disturbi tipici (molta sete, abbondante urinazione, perdita di peso, stanchezza), frequentemente il diabete tipo 2 è privo di disturbi e questo porta ad un ritardo nel suo riconoscimento. Attualmente si pensa che per ogni 2 persone con diabete ce né almeno una che ha il diabete ma non sa di averlo e questo implica la necessità di una ricerca attenta della malattia nelle persone a rischio di svilupparla.

  1. In assenza dei disturbi tipici della malattia, la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, confermato in almeno due diverse occasioni di:
    1. glicemia a digiuno superiore a 125 mg/dl (con dosaggio su prelievo eseguito al mattino, alle ore 8 circa, dopo almeno 8 ore di digiuno)

    oppure

    1. glicemia superiore a 199 mg/dl 2 ore dopo carico orale di zucchero (glucosio). L’esame del carico orale di glucosio (OGTT) si esegue facendo bere alla persona una soluzione di acqua e glucosio (75 grammi) in cinque minuti, e prelevando il sangue per controllare la glicemia prima del test e a distanza di 2 ore dopo. Questo esame permette di capire se l’organismo risponde correttamente con la produzione di insulina all’ingestione di glucosio, o se esiste un danno più o meno marcato nel sistema ormonale.

    oppure

    1. emoglobina glicata (HbA1c) superiore a 47 Mmol/mol (6,49%) L’emoglobina glicata è un esame di laboratorio che misura la quantità di glucosio presente all’interno dei globuli rossi del sangue. Dal momento che i nostri globuli rossi sono cellule che vivono all’interno dell’organismo solo per circa quattro mesi, e poi vengono ricambiati, la quantità di glucosio in essi presente riflette la media di tutte le glicemie dei quattro mesi precedenti all’esecuzione dell’esame.
  2. In presenza di sintomi tipici della malattia, la diagnosi di diabete deve essere posta con il riscontro, anche in una sola occasione di glicemia casuale superiore a 199 mg/dl (indipendentemente dall’assunzione di cibo).È importante sottolineare che ai fini diagnostici e di screening della malattia la misurazione della glicemia deve essere effettuata su prelievo di sangue effettuato in laboratorio (plasma venoso), mentre è altamente sconsigliato l’uso del glucometro, in quanto genera misurazioni non standardizzabili. I glucometri sono strumenti, spesso molto sofisticati, in grado di misurare la glicemia su quantità di sangue molto piccole, prelevate con una minima puntura dei polpastrelli delle dita, in un tempo molto breve (in genere pochi secondi). Tuttavia la precisione di questi strumenti non è pari a quella del laboratorio, e la loro utilità è molto maggiore per il controllo delle glicemie in una persona con diabete, ma non sono sufficientemente precisi per una diagnosi. In aggiunta va rilevato che per formulare la diagnosi di diabete non sono necessarie le misurazioni della glicemia dopo il pasto.

In considerazione del fatto che il diabete di tipo 2, che è la forma di gran lunga più frequente, è spesso privo di sintomi, esso va ricercato attivamente per identificarlo precocemente. Vedremo quindi di seguito quali sono le persone che potrebbero sviluppare un diabete e cosa fare per identificarlo precocemente.

Un primo aspetto da considerare è che in presenza di valori glicemici inferiori a quelli sopra indicati per la diagnosi di diabete ci sono dei valori che sono comunque considerati meritevoli di attenzione in quanto identificano soggetti a rischio di diabete e questi sono:

  1. glicemia a digiuno compresa tra 100-125 mg/dl (condizione nota anche come alterata glicemia a digiuno o IFG),
  2. glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio compresa tra 140-199 mg/dl (condizione nota come ridotta tolleranza ai carboidrati o IGT),
  3. emoglobina glicata compresa tra 42-47 Mmol/mol (6,00-6,49%)

Oltre a coloro che presentano una situazione di alterata glicemia a digiuno o ridotta tolleranza ai carboidrati, ci sono altre persone che sono a rischio di sviluppare il diabete e che quindi dovrebbero sottoporsi periodicamente agli accertamenti per identificarlo e mettere in atto le azioni per prevenirlo. Queste sono rappresentate da:

  1. persone di età superiore o uguale a 45 anni, specialmente se con sovrappeso (rapporto tra peso/altezza2 o BMI superiore a 24 kg/m2) Il BMI (o “indice di massa corporea”) è il rapporto tra il peso in Kg e l’altezza in metri, al quadrato. Al di sotto di 19 la persona è “sottopeso”, tra 19 e 24 è normopeso, da 25 a 30 è “sovrappeso”, oltre i 30 è “obesa”.
  2. Persone di età inferiore 45 anni con BMI superiore a 24 kg/m2 che presentano una o più tra le seguenti condizioni:
    • familiarità di primo grado per diabete tipo 2 (genitori, fratelli);
    • inattività fisica (persone che camminano meno di 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana);
    • evidenza clinica di malattie cardiovascolari (infarto o ictus, arteriopatia agli arti inferiori, stenosi carotidee);
    • appartenenza a gruppi etnici ad alto rischio (Afro-Americani, Latini, nativi d’America, Americani di origini asiatiche, abitanti delle Isole del Pacifico);
    • ipertensione arteriosa (pressione arteriosa superiore o uguale a 140/90 mmHg)
    • terapia antipertensiva in atto;
    • bassi livelli di colesterolo HDL (inferiore o uguale a 35 mg/dl) e/o elevati valori di trigliceridi (superiori o uguali 250 mg/dl);
    • nella donna, parto di un neonato di peso superiore a 4 kg o pregresso diabete gestaizonale;
    • basso peso alla nascita (inferiore a 2,5 kg);
    • sindrome dell’ovaio policistico o altre condizioni di insulino-resistenza come l’acanthosis nigricans.
  3. Ragazzi/e di età superiore a 10 anni o all’inizio della pubertà se questa si verifica ad un’età più giovane, con sovrappeso o obesi (BMI superiore all’85° percentile per età e sesso, peso per altezza >85° percentile, o peso >120% del peso ideale per l’altezza) e due tra le seguenti condizioni:
    • familiarità di primo o secondo grado per diabete tipo 2;
    • madre con diabete gestazionale;
    • segni di insulino-resistenza o condizioni associate a insulino-resistenza (ipertensione, valori elevati di colesterolo e trigliceridi, bassi valori di HDL colesterolo, acanthosis nigricans, ovaio policistico, basso peso alla nascita);
    • appartenenza a gruppi etnici ad alto rischio
Il rischio per le persone che scoprono il diabete è la possibilità che la malattia possa degenerare nelle “complicanze”, spesso legate alla lunga durata della malattia, ma soprattutto a come si riesce a curarlo e a controllarlo.

È bene dire subito che il rischio di complicanze può essere fortemente ridotto o annullato mantenendo sotto stretto controllo la glicemia e tutti gli altri fattori di rischio (il peso, la pressione arteriosa, i grassi).

Al fine di contrastare o ritardare l’insorgere di complicanze, il controllo dei valori della glicemia è fondamentale per evitare sia picchi di glicemia verso il basso (ipoglicemia) che verso l’alto (iperglicemia).

A questo scopo è indispensabile il monitoraggio continuo del compenso glicemicoattraverso la valutazione dei valori dell’emoglobina glicata (che fornisce un’indicazione dell’andamento della glicemia nei precedenti 3-4 mesi) e l’autocontrollo domiciliare della glicemia (che permette di individuare con precisione l’intensità e i momenti in cui si verificano gli scompensi glicemici permettendo così di perfezionare la terapia sulla base dei risultati).
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute (ipoglicemia e chetoacidosi) sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono dovute alla carenza o assenza di insulina. Nel diabete tipo 2, invece, sono più rare le complicanze acute, ma sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano i danni che lo zucchero alto nel sangue può fare a diversi organi e tessuti come occhi (retinopatia), reni (nefropatia), cuore (infarto miocardico, scompenso cardiaco), cervello (ictus), vasi sanguigni e nervi periferici (arteriopatia arti inferiori, neuropatia, piede diabetico).

Il diabete tipo 2 è una patologia fortemente correlata allo stile di vita, vale a dire al tipo di alimetazione ed all’attività fisica. Una scarsa attività fisica ed una dieta ricca in grassi animali (grassi saturi), carboidrati complessi (amidi), zuccheri semplici (saccarosio, fruttosio, maltosio, sorbitolo) favoriscono il sovrappeso e l’obesità ed espongono al rischio di sviluppare il diabete. Alimentazione equilibrata ed attività fisica non sono solo il cardine della cura del diabete, ma anche il metodo più efficace per prevenirlo. Sono stati infatti condotti degli studi su persone ad elevato rischio di sviluppare il diabete che hanno dimostrato che una corretta dieta ed una costante attività fisica sono in grado di prevenire il diabete in maniera più efficace dei farmaci. Quindi è raccomandato eseguire almeno 30-40 minuti al giorno di camminata a passo veloce (bisogna essere un po’ sudati, se si cammina in compagnia avere il fiato per poter dire brevi frasi, ma non discorsi interi, altrimenti significa che camminiamo troppo piano e non incidiamo sul metabolismo), meglio se a questo si associa uno sport per circa un’ora 3 volte alla settimana. Sono indicati gli sport aerobici (es. bici, corsa, ginnastica, nuoto, canottaggio, trekking).
Seconda cosa importante da fare per prevenire il diabete è quella di mantenere un adeguato peso corporeo con una dieta equilibrata. Vanno evitati i cibi preconfezionati ricchi di grassi anche di scadente qualità e pericolosi per la comparsa di ictus ed infarto), non bisogna utilizzare burro e margarine, ma preferire l’olio di oliva a crudo da quantificare sempre con il cucchiaio. Va inoltre aumentato l’apporto di fibre vegetali. È buona regola eseguire una colazione completa al mattino con pane o fette biscottate che sono da preferire ai biscotti ricchi di zuccheri semplici e quindi molto calorici. Non è buona norma saltare il pranzo, perché il rischio è poi quello di “abbuffarsi” a cena, meglio quindi consumare un pranzo che comprenda pasta o riso (circa 70-80 grammi pari a un piatto fondo non colmo) associato ad un contorno di verdura e a 40 grammi di pane (pari a un piccolo panino, tipo “rosetta” o “viennese”), lasciando alla cena il secondo (preferendo il pesce ai formaggi e salumi) da accompagnare con verdure crude o cotte e 70 grammi di pane. È consigliabile non consumare la frutta a fine pasto ma preferibilmente come spuntino a metà mattino o pomeriggio. Una semplice regola di alimentazione salutare è quella che prevede, nell’arco di tutta la giornata, il consumo di 5 porzioni di frutta e/o verdura fresca. Per verificare se il proprio peso è adeguato si può calcolare il BMI che è dato dal rapporto tra peso in Kg ed altezza espressa in metri al quadrato. Un BMI superiore a 25 indica già la presenza di un sovrappeso, un BMI superiore a 30 indica invece un’obesità. Si raccomanda quindi di pesarsi almeno una volta alla settimana, nel caso il peso aumentasse è più facile riportarlo rapidamente entro i valori adeguati se invece si aspetta il cambio di taglia prima di accorgersi dell’aumento di peso spesso sono già presenti 4-5 Kg in più. In ultima analisi la prevenzione del diabete non deriva da “sacrifici” alimentari ma dalla ricerca del “benessere” per il nostro organismo in un corretto stile di vita (attività fisica e dieta equilibrata).

Se rientri tra una delle categorie di persone a rischio di sviluppare il diabete sopra riportate devi ricercarlo facendo periodicamente degli esami del sangue e devi mettere in atto delle modifiche del tuo stile di vita per prevenirne l’insorgenza. In particolare è raccomandata l’esecuzione di una glicemia a digiuno su sangue venoso (prelievo da eseguire in laboratorio). L’esecuzione di una curva da carico di glucosio (OGTT) può essere presa in considerazione nei soggetti con alterata glicemia a digiuno (glicemia compresa tra 100-125 mg%).

In caso di normalità della glicemia, l’esame va ripetuto almeno ogni uno-tre anni.

Questo screening è molto importante perché un diabete iniziale non dà sintomi, questa fase asintomatica può perdurare anche per 7-10 anni prima che il diabete dia in qualche modo un disturbo che induca a ricercalo. Questo lasso di tempo è però già sufficiente a causare danni all’organismo.